Gioele Greif, professore e poeta

Gioelle Gioas Graiff (Greif), della famiglie dei “Berti” nacque a Romeno il 04/11/1842, figlio di Leonardo e Zucal Maria Rosa, morì a Trieste 15/01/1899.

Biografia del “Prof. Gioele Greif (1842-1899) – Professore e poeta” di don Fabio Fattor da “Memorie e Cronache di Romeno”  Aldo Francisci Editore 2001.

“Era la notte fra l’uno e il due ottobre del 1862 e un giovane studente, appena ventenne Gioele Greif, della famiglia dei “Berti” di Romeno, aveva pronte le valigie per riprendere gli studi dell’ultimo anno di ginnasio-classico di Trento. Ma quella notte fu il finimondo: temporali violenti, raffiche di vento e una terribile “tompesta”. Evento eccezionale in ottobre che colpì la fantasia e destò la vena poetica dello studente che, rifugiatosi nel letto, attento ascoltava “con ‘b sfuei et ciarta, ‘n toc et lapis” e scrisse velocemente dando il via al suo estro che divenne sempre più sciolto e libero.

Ne uscì un componimento poetico e interessante e bello: “La cianzon del prim d’otober del 1862” che egli lesse ai parenti la mattina del due ottobre.

Il “poemetto” in dialetto anaune fu, per fortuna, pubblicato dal cugino prof. Iginio Zucali nel 1907 su “Vita Trentina” un settimanale del “Popolo”, quotidiano socialista dell’epoca; altrimenti sarebbe rimasto sconosciuto se non l’avesse scoperto dopo una accurata ricerca nella casa natale di Gioele, attualmente abitazione della famiglia Gilli. Allora vi risiedevano i Greif-Berti, famiglia ora estinta.

E venne trovato proprio il manoscritto originale e autografo.

Della vita di Gioele abbiamo solo le essenziali notizie dell’articolo di Iginio Zucali, che cito per intero nella parte biografica, ma sono sufficienti per valutarne la personalità e la cultura umanistica e filosofica.

 

“Gioele Greif, figlio di quel Leonardo Greif che fu per mezzo secolo maestro della scuola popolare di Romeno, colla lauta paga di allora vigente di annui 60 fiorini abusivi, nacque ai 4 novembre 1842. Ebbe la prima istruzione nella scuola tenuta dal padre nel paese, ma il non comune ingegno dimostrato dal ragazzo invogliò il povero maestro a metterlo agli studi ginnasiali a Trento. Furono privazioni inenarrabili e stenti erculei che dovettero esser fatti alle spese del mantenimento; ma il giovane studente corrispose pienamente alle speranze paterne e in tutte le classi ginnasiali fu tra i distinti.

Superati con esito brillante gli esami di maturità, cedendo alle insistenze della madre Rosa Zucal, entrò in Seminario; ma accortosi che quella non era la sua vera e sentita vocazione, dopo un anno di teologia, passò allo studio della filologia classica all’università di Innsbruck.

Compì gli studi in quattro anni e appena dato l’esame di Stato fu tosto assunto come supplente nel ginnasio di Trento, e già l’anno appresso fu nominato definitivo nel ginnasio di Rovereto. Quivi insegnò soltanto due semestri, perché domandò e ottenne un posto nel ginnasio comunale di Trieste. ove dal 1871 fino al 1898 esplicò la sua proficua attività, acquistando fama di eccellente maestro, specialmente nella grammatica greca; stimato e venerato dai colleghi, e addirittura idolatrato dai discepoli, veniva appellato da questi il Giusto, da quelli il Grammatico – forse anche per distinguerlo da un altro fratello più giovane, pure professore di filosofia nello stesso istituto.

Resosi vacante il posto di direttore di quel ginnasio, gli furono fatte vive sollecitazioni dalle autorità scolastiche, dal municipio e dai colleghi, perché accettasse il compito di direttore; ma egli, alieno ad ogni ambizione e di salute troppo cagionevole, declinò l’onorifica offerta. Dopo 28 anni di indefesso insegnamento venne collocato allo stato di riposo; ma pochi mesi lo poté egli godere, perché una dolorosa malattia di ventricolo, che lo aveva fatto penare tutta la vita, lo condusse, ancor in giovane età, alla tomba il 15 gennaio 1899.

Affettuosa memoria si conserva tuttora di lui a Trieste e dai colleghi e dai numerosi discepoli.

Era versatissimo nella filosofia, spirito e fino conoscitore, sia delle cose, come delle persone, dotto nella sua scienza, ed anche facile e brioso, ma troppo modesto poeta. Però tranne alcuni lavori sui tragici greci negli annuari ginnasiali di Trieste, causa la malattia che lo perseguitò incessantemente, non ebbe agio di attendere ad altre pubblicazioni, benché abbia composto un’infinità di sonetti ed altre poesie d’occasione e traduzione dai poetici classici, molte anche in dialetto anaune, il quale, sebbene pochissime volte fosse egli tornato in Val di Non, sempre gli rimase così familiare da poter in esso improvvisare con grande facilità nelle serate e nei ritrovi esilarando gli amici e conterranei trentini.

La massima parte di questa poetica produzione andò perduta: qualche poco è conservato colle carte di famiglia a Vienna, dove la vedova si ricongiunse all’unica figlia maritata Oberbauer (Amelia) e forse qualche cosa mi riuscirà di trarre dall’immediato obblio”

 

Purtroppo da allora nulla è emerso di quell’infinità di sonetti ed altre poesie d’occasione, ed è un peccato, ma da ciò che rimane siamo in grado di apprezzare e valutare l’uomo di cultura e il poeta”

 

 

Nota: Nel III volume “POESIE E POETI DE LA VAL DE NON” di Guglielmo Bertagnolli (Trento Tip. Libreria Editrice G.B. Monauni – 1912; ristampa La Grafica Anastatica Mori – 1983) troviamo a pag. 280 il componimento di Gioèle Graiff con il titolo “Zento ciampeti su la tompestada d’auton del 62”, diverso dal titolo indicato da don Fabio Fattor.