Da “Memorie sparse” di don Fabio Fattor.
Desidero far rivivere una simpatica leggenda riferita da Elia Covi.
Veniva raccontata fino a non molti anni fa, ma la memoria rischia di andare perduta. La leggenda è legata ad un luogo particolare ancora conosciuto: i busi de le Angiàne o Angàne. Erano in uso ambedue le dizioni, come attesta il Quaresima nel suo Vocabolario noneso solandro. Di busi delle Angiàne o angàne ce ne sono molti in Alta Anaunia: a Molosco, Fondo, Romeno e altrove. Sono forre o caverne scavate nella roccia dalla lunga erosione: se ci riferiamo a Romeno, dal Rio S. Romedio, che scorre nella ripida vallata fra Don e Romeno, in località Riègol. Quegli anfratti bassi e oscuri davano il senso di paura ed erano immaginati come rifugio e abitazione delle Angiàne.
Così si esprimeva il Pinamonti in un suo brano poetico all’inizio dell’800: “Che vita che ‘l cogn esser stà – sti ani passadi canche ‘s vedeva – en te buse di monti le Angàne – nudicie coverte demò co le – so longe ciavejere che le vardava – le gent e le feva segni senza – parlar e le despariva …” (Pin. II,105). Secondo le varie leggende raccolte, le Angiàne erano cattive e malefiche streghe: attiravano in ragazzi nell’acqua e poi li facevano annegare, tendevano insidie ai pastorelli che mettevano nel sacco per portarseli negli antri o erano rigorose guardiane dei pozzi. L’origine di questi racconti è evidente: tener lontano i ragazzi dai luoghi che potevano essere pericolosi; se la curiosità di penetrare nelle caverne era forte, la paura delle streghe li teneva lontani e guardinghi.
Ma le nostre Agiàne non erano vecchie, brutte e malefiche. Si differenziavano dalle comuni streghe perché erano di aspetto bellissimo. Portavano lunghi capelli biondi che parevano fili d’oro: le belle fate dei monti e delle acque! Le nostre, come le altre, erano fate che avevano rifugi inaccessibili presso le sorgenti.
Gana è un termine antico che significa polla d’acqua o sorgente. Le Angiàne sono infatti esseri della mitologia pagana, legati sempre alla presenza dell’acqua. Del resto giàna d’aca è usato in alta Anaunia per indicare l’acqua che scorre in fessure sotterranee. E dalla mitologia pagana le nostre sono passate al canto religioso di lode a Dio, come racconta la leggenda.
Queste fanciulle attraenti e immaginate di indescrivibile bellezza, anche se nessuno le aveva mai viste perché si dileguavano come il vento a ogni passo d’uomo, nelle notti di plenilunio salivano dai loro rifugi e si fermavano su un piccolo colle detto Dòs Tondo, dove pettinavano le loro chiare chiome dorate, tanto da lasciare residui dei loro capelli a conferma della loro presenza, per coloro che, inseguito, occasionalmente transitavano o facevano sosta in quel luogo appartato: boscaioli, raccoglitori di funghi, viandanti, coppie di innamorati.
Dopo l’accurata pettinatura, le Angiàne salivano attraverso passaggi sotterranei fino all’interno della Chiesa, che sovrastava di poche centinaia il colle, dove con le loro melodiose voci intonavano dei canti dolci e bellissimi, da estasiare coloro che, casualmente, passavano accanto all’edificio. Quelle poche persone, si raccontava, che ebbero la rara occasione di sentire quelle melodie, rendendosi conto che le esecutrici erano le Angiàne, fuggivano incantati e ammaliati dalle voci, ma smarriti per la paura. Le Angiàne su pur sempre esseri misteriosi dei quali è prudente stare alla larga.”